Che tempi... Ve li ricordate?

08 gennaio 2010
Posted by Daniele


Vallo a spiegare, ora. Vallo a dire ad un bambino che ha appena finito di vedere in diretta Manchester- Leeds o Dinamo - Zenit e che ora, mentre i giocatori vengono ripresi alla discesa dal pullman, indugia con lo sguardo sulle inquadrature delle magliette dei giocatori della sua squadra del cuore ripiegate sulle panche degli spogliatoi . Vallo a spiegare ad un bambino che rivede sei volte l'azione di un gol o che spinge un pulsante verde e può godere la meraviglia di tutte le partite in diretta. Proviamoci.

C'era una volta un paese, il tuo, in cui tutto era in bianco e nero. C'era una volta un paese in cui i bambini come te, malati di calcio, aspettavano le sette di sera per vedere una partita in televisione. Che dico, non una partita, un tempo, uno solo. E non sapevano che tempo e che partita degli invisibili potenti avrebbero scelto seguendo imperscrutabili logiche e sofisticati equilibri. Allora, fai uno sforzo gigantesco di immaginazione, i più, come dite voi ora?, "fomentati" vivevano una domenica da reclusi. L'obiettivo era non sapere il risultato degli incontri prima delle sette, per poter vivere in tv l'emozione di quella rifrittura come fosse un pasto appena cucinato. Non si poteva uscire, non si rispondeva al telefono e, soprattutto, si teneva la radio spenta. Perché c'era " Tutto il calcio minuto per minuto".

Provo a spiegarti. Cominciando dal più difficile. Infatti anche quel programma cominciava nel secondo tempo . Si pensava che se gli appassionati fossero stati collegati dal primo minuto non sarebbero più andati allo stadio. Collegati alla radio, non con gli occhi di trentasei telecamere. C'era l'idea che si dovesse proteggere la percezione personale, diretta, fisica delle cose della vita. Non la loro diffusione universale, mediata e attenuata dal racconto e dalla selezione compiuta da registi o giornalisti. E così quegli uomini fortunati che si trovavano- nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto-a lavorare raccontando calcio erano gli occhi di milioni di italiani. Le loro voci erano un pezzo della vita di tutti. Come i loro cognomi: Bortoluzzi, Ameri, Ciotti, Luzzi, Provenzali. Erano dei grandi giornalisti, dei professionisti che sapevano, con le loro parole, raccontarti qualcosa di irraccontabile. Si può descrivere un quadro? Si può far immaginare un tramonto? Loro guardavano le gambe piccole e nervose di Sivori, la falcata potente di Gigi Riva, la tenace e minuta robustezza di Giacomino Losi e traducevano quelle immagini in parole. Lo facevano immediatamente, senza la possibilità di cancellare e riscrivere. Lo facevano senza che le immagini svolgessero la funzione di fornire il tappeto di base delle conoscenze. Dovevano far sapere cosa stava accadendo e dovevano fornire una emozione. La voce era una tavolozza, i toni erano i colori, le parole le pennellate. Vedi, noi, alla tua età, quando non ce la facevamo ad aspettare le sette di sera eravamo appesi a quelle voci. E ascoltavamo le cronache delle partite dai campi che ci interessavano di meno, sperando sempre che un rumore di folla e poi una voce interrompessero chi stava parlando per fornire l'aggiornamento che aspettavamo ." Scusa Ameri" era l'anticamera di una gioia o di una rabbia tremende. I transistor, che cominciarono a diffondersi poco dopo l'inizio della trasmissione, consentivano che si potesse di domenica vedere gente che improvvisamente si abbracciava per strada o si metteva a ballare. Io ricordo di aver osservato una volta un tifoso deluso abbandonare una piccola radio sulle scale di una chiesa e andare via, forse smadonnando.

I radiocronisti erano dei tipi abbastanza eccezionali, un po' reporter e un po' poeti. Dovevano unire il fiuto della notizia con la capacità di darle forma e intensità emotiva. Erano gente veloce, in un tempo lento. Erano dove noi avremmo voluto essere. Erano in missione per conto nostro. Non avevano volti, nonostante fossero popolari come pochi. Per decenni nessuno ha mai visto il viso di Enrico Ameri e solo la Domenica Sportiva ha fatto più tardi conoscere a chi appartenesse quella voce da basso, arrochita da milioni di sigarette " Nazionali", che era la firma di Sandro Ciotti.

Molti di loro cominciarono con mio padre, nella mitica redazione "Radiocronache" che costituiva l'occhio sul mondo degli italiani, prima che arrivassero le telecamere. Era una squadra di persone selezionata su basi esclusivamente professionali. O eri bravo o a casa. Non potevi mandare un imbecille raccomandato a raccontare l'alluvione del Polesine. Quelle voci non erano una su mille. Erano la storia in diretta, erano in permanente esclusiva. I giornali sarebbero usciti il giorno dopo. Una parola sbagliata poteva fare catastrofi. Raccontavano cronaca e sport, eventi tragici e Olimpiadi. Erano un gruppo di ragazzi , neanche trentenni, che avevano una gigantesca responsabilità sulle spalle. Fu, evidentemente, una scuola importante che cementò tra loro un legame e una amicizia profonda. Sergio Zavoli fu scoperto per le cronache delle partite che faceva nella sua Rimini, cronache che non andavano in onda e venivano trasmesse con le amplificazioni sulla piazza. E così altri. Erano gente speciale. Con una grande motivazione. Io li ricordo nelle foto. Una li ritrae attorno al tavolo di mio padre, un gruppo di ragazzi sorridenti. Un'altra li ferma al giro di Francia con addosso delle tute con la scritta, tutta minuscola, rai. A quell'azienda erano legati da un rapporto di sangue. Se posso dire mi sembra di ritrovare qualcosa di simile oggi nei ragazzi che fanno lo sport a Sky. Almeno sembra così e lì, da Caressa a Marianella a Flavio Tranquillo e tanti altri si è affermato uno stile e un linguaggio del tutto nuovo della cronaca televisiva.

"Se la squadra del vostro cuore ha vinto brindate con Stock, se ha perso consolatevi con Stock". Era una delle prime forme di sponsorizzazione, quando ancora le magliette dei giocatori erano immacolate e aveva fatto un gran discutere la decisione del Torino di stampare una ambigua T maiuscola sul petto. La casacca di Valentino Mazzola profanata con la pubblicità del cioccolato Talmone, che volgarità. Per anni gli ascoltatori di " Tutto il calcio minuto per minuto" si sono chiesti cosa dovessero fare con Stock in caso di pareggio, assai diffuso ai tempi del " catenaccio". Dopo un paio di decenni, la nota ditta di liquori, non insensibile al grido di dolore che saliva dal popolo, aggiunse " se ha pareggiato, sempre Stock". Non originalissimo, ma conclusivo.

Insomma, spero di essere riuscito a farti capire che cosa è stato di meraviglioso "Tutto il calcio minuto per minuto" . Mentre parlavo non hai mai staccato gli occhi dalla piattaforma Wii e dallo schermo Led sul quale compare, nel gioco Pes, il volto perfettamente riprodotto di Totti e tu lo puoi muovere e farti le tue squadre, le tue partite, i tuoi tornei. Che poi vedi in televisione.

Mi guardi strano. Hai ragione tu . Però fammi vendicare in silenzio dei privilegi della tua stagione satolla. Credimi, non puoi immaginare che cosa era l'emozione, abituati ai bianco e nero delle diciannove e alle voci concitate di quei grandi giornalisti, quando si usciva, come in un film di Woody Allen, dal bianco e nero. Se tu mi guardassi, invece di muovere il joystick per far segnare Drogba, vedresti degli occhi lucidi. Sto pensando ad un momento, uno preciso. Quando da bambino andavo allo stadio e salivo gli ultimi gradini prima di affacciarmi alla visione del verde meraviglioso del campo e dell'arcobaleno infinito degli spalti. Quella era la vita a colori e , credimi, non aveva nulla da invidiare al tuo prato elettronico. Ti invidio, ma con nostalgia.

Walter Veltroni (da
Repubblica.it)

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1 commenti:

er Moro ha detto...

Hai capito Walter?!?
Ti dovrà ringraziare per ruscire a farsi apprezzare nella lettura del post di un amico blogtrotter!
ps:
ps: mentre leggevo pensavo "ma qnt anni c'ha 'sto Daniele" EH EH
Bella Daniè